:::Benvenuti nella depandance di ottoemezzo.com::: testata giornalistica dedicata al cinema. Spizzichi, smozzichi e ritagli di cinema. O dell'arte di perdere tempo scrivendo e leggendo di una grande passione.

19 maggio 2007
"Io, l'altro" dramma sul peschereccio

di Marzia Apice

Da quando Yousef, tunisino, è sbarcato sulle coste della Sicilia, la terra di Giuseppe, i due non si sono più lasciati.
Giuseppe e Yousef, stesso nome in due lingue diverse, sembrano essere uniti non soltanto da un’amicizia fraterna, ma anche dallo stesso destino. Dopo dieci anni di condivisione, di complicità, di duro lavoro come pescatori in mezzo al mare, i due amici comprano Medea, un piccolo peschereccio usato, simbolo dell’affrancamento dall’ex padrone Troina, che li ha sfruttati senza farsi troppi scrupoli.
La vita continua tra mille difficoltà, perché la pesca non è sempre abbondante, né assicurata tutti i giorni. Restano i debiti della barca da pagare e Troina controlla il mercato locale del pesce con atteggiamenti da mafioso.
Ma improvvisamente tutto si sgretola. Dopo l’attentato terroristico al treno di Madrid, si cercano i responsabili: la radio annuncia che Yousef è il terrorista che la Polizia sta cercando, autore di quella strage atroce.
In realtà si tratta di un caso d’omonimia, ma per Giuseppe comincia un calvario psicologico, che lo porterà a guardare l’amico di sempre con occhi diversi, sospettosi, increduli.
Basta poco e la situazione degenera. Giuseppe e Yousef non si riconoscono più, o meglio, trovano l’uno nell’altro la materializzazione delle proprie paure, quelle che spingono a considerare l’altro da sé come qualcosa di diverso e dunque di minaccioso.
La barca diventa un mondo a parte, un piccolo microcosmo in cui affiorano i pregiudizi dell’una e dell’altra parte, in cui la follia non lascia più spazio al dialogo.
In mezzo al mare, Giuseppe e Yousef, entrambi vittime e carnefici, diventano essi stessi il simbolo della guerra che insanguina il nostro mondo.
Questa è la trama di Io, l’altro, l’ultimo film del regista tunisino Mohsen Melliti, interpretato da Raoul Bova, che ne è anche produttore, e da Giovanni Martorana.
Una buona prova per i due attori, ma, nonostante la tematica attuale e drammatica, il film non decolla. Sicuramente coraggiosa è stata la scelta di girare quasi tutto il film sul peschereccio, mostrando nient’altro che i visi dei protagonisti, il cielo e il mare. Sebbene non avremmo sopportato più degli ottanta minuti del film, Io, l’altro resta un progetto lodevole e un film comunque interessante, che ci costringe a riflettere e a guardarci dentro.

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15 maggio 2007
"Notturno Bus": sorprese di fine stagione

di Marzia Apice

Un bel progetto, una storia convincente, tanti validi professionisti: sono questi i punti di forza di "Notturno bus", ultimo film di Davide Marengo, tratto dall’omonimo romanzo di Giampiero Rigosi.
La storia racconta l’incontro-scontro tra Leila (Giovanna Mezzogiorno), bella e giovane falsaria che vive di piccoli furti e truffe, e Franz (Valerio Mastandrea), ingenuo e generoso autista di autobus con la passione per il poker, che ad un passo dalla laurea in filosofia ha mollato tutto per la sicurezza del posto fisso.
Due solitudini, due vite a metà che, per un puro disegno del destino, si troveranno loro malgrado imbrigliate in un complesso e pericoloso gioco di potenti senza scrupoli, servizi segreti deviati e non, piccola e grande criminalità. Forse i due ragazzi insieme riusciranno a ritrovare il bandolo dell’intricata matassa e a risolvere l’impasse della propria esistenza…
"Notturno bus" è una miscellanea di tanti generi: si passa dalla commedia, all’azione, al noir fino ad arrivare al sentimentalismo più puro.
Ogni elemento è ben dosato, e il ritmo rimane costante per tutta la durata della pellicola.
Uno strano cocktail, in cui la risata si unisce alla riflessione: ma il risultato alla fine è vincente. Merito sicuramente del criterio adottato dai produttori Maura Vespini e Sandro Silvestri per la realizzazione del film: dapprima è stato scelto il romanzo e dunque l’idea, poi sono stati selezionati gli sceneggiatori per l’adattamento cinematografico, fino ad arrivare in ultimo al reclutamento del regista, degli attori e degli altri componenti della troupe.
Particolarmente duttile la regia di Marengo, in perfetta sintonia con il mutamento dei generi nel corso del film, ed ottima si è rivelata anche la scelta della colonna sonora, affidata a Gabriele Coen e Mario Rivera, con una breve incursione di Daniele Silvestri.
Notturno bus è un film completo, che offre allo spettatore una vasta gamma di sensazioni e una buona dose di intrattenimento puro.
Ma soprattutto il film è la dimostrazione che il cinema italiano non è morto, anzi, sta benissimo: ci vuole solo un po’ di coraggio, una buona storia e tanta professionalità.

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14 maggio 2007
Le colline hanno gli occhi 2: quando del sequel non si avverte la mancanza

di Marzia Apice

Cosceneggiato da Wes Craven e da suo figlio Jonathan, arriva nelle sale italiane la seconda puntata della saga di Le colline hanno gli occhi.
Dopo trenta anni dalla realizzazione dell’originale primo film della serie, poi reinterpreato nel 2006, il maestro dell’horror Crawen (autore anche del classico "Nightmare – dal profondo della notte" e della trilogia di "Scream") ha deciso di mettersi a lavorare a questo sequel, lusingato dal fatto che le tematiche da lui affrontate nel 1977 potessero ancora oggi attirare e coinvolgere le nuove generazioni.
Nonostante il dispiego di mezzi tecnici e produttivi, francamente non si sentiva la mancanza di un "Le colline hanno gli occhi 2".
Il film, particolarmente curato negli effetti speciali e nell’ambientazione, non aggiunge niente ai precedenti. Anche il ritmo è altalenante, e sembra che le immagini non riescano mai a raggiungere forti picchi di tensione.
Rimane poi in superficie il tentativo degli autori di fornire un affresco psicologico e sociologico del multietnico gruppo di soldati protagonisti della terribile vicenda.
Ma torniamo alla trama: eravamo rimasti al massacro tra le rocce messicane della sventurata famiglia Carter. Ora invece è la volta di un’unità di soldati della Guardia Nazionale, giunta nelle medesime lande desolate del Messico per rifornire alcuni scienziati, ovviamente già sterminati al loro arrivo.
Artefici di questa carneficina sono i mutanti capeggiati da Papa Hades, il quale, per assicurare un futuro alla propria specie, ha in programma di uccidere tutti gli uomini e stuprare le donne affinché possano riprodursi.
Riusciranno i nostri eroi in divisa militare a rimanere uniti e a sventare il micidiale attacco dei mutanti?

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13 maggio 2007
In diretta dalla Fiera del Libro di Torino: conversazione con Alicia Gimenez Bartlett


di Sabina Prestipino


Ha insegnato per tredici anni lettere in un liceo. E dopo averla conosciuta, vi assicuro, che ci si rammarica di non averla avuta come prof.
E’ Alicia Gimenez Bartlett, una delle ospiti di punta della 20ma edizione della Fiera del Libro di Torino.
Allo stand Sellerio, l’editore italiano della scrittrice, i lettori sfogliano i suoi libri, ma non sembrano notarla, mentre i giornalisti fanno la fila per intervistare quella che ormai è nota in Italia come una sorta di Camilleri in gonnella.
Di primo acchito i due scrittori mi sembra che abbiano in comune solo una cosa: “i sigaretti”, come direbbe Camilleri.
Il tempo di stringerci la mano e di presentarci e la Bartlett mi invita fuori dai capannoni della fiera per fumare. Tra una boccata di fumo e l’altra, iniziamo a chiacchierare. Che sollievo, la creatrice di Petra Delicado è una donna minuta con occhi intelligenti e pieni di ironia, una vera affabulatrice dall’aria sorniona. Uno spirito arguto. E’ molto contenta di questo suo viaggio promozionale in Italia. E chiede a due signore del suo entourage di portarla di sera in un posto dove si possa degustare una buona grappa.
La sua ultima fatica, “Nido Vuoto”, sta scalando le classifiche. Sgrana i suoi occhi grandi color nocciola ed è quasi stupita nel sottolineare in italiano: “Davanti a me, c’è solo il Papa!”. In effetti, l’Italia, assieme alla Germania, è il Paese che più ama la saga di Petra Delicado e del suo assistente Garzon Fermin.
Per rompere il ghiaccio inizio a togliermi qualche piccola curiosità. Non so se poi avrei il coraggio di chiederle certe amenità, una volta tornate sui divanetti dello stand Sellerio.

E’ contenta o le scoccia essere chiamata la “Camilleri spagnola”?
“E’ una semplificazione schematica, facile da capire, rappresentativa di un certo genere letterario. Ma non mi dà fastidio, anzi è un onore”. E aggiunge nella sua lingua: “Bueno, Camilleri es Camilleri!”.
A pensarci bene il commissario Montalbano farebbe una bella coppia con la Delicado.
“In effetti – commenta l’autrice - Anche se Montalbano è troppo macho per Petra. Se i due si fidanzassero, sarebbe una bella battaglia campale!”.
Seconda curiosità: fra un po’ incontrerà Daria Bignardi allo spazio autori. Quell’“intervistatrice barbarica” ha rovinato a me, come a tanti altri lettori, il piacere di scoprire il finale del libro, svelandolo sulle colonne di “Vanity Fair”. Alla Gimenez Bartlett non lo dico, ma sono sicura che la nostra Petra le avrebbe fatto il pelo e il contro pelo. Sono curiosa di sapere cosa farebbe la scrittrice alla Bignardi. “Se la può tranquillizzare, in fondo la giornalista ha svelato solo una piccola parte del finale. Ci dice solo che Petra si sposa per la terza volta”.
In effetti, ha avuto il buon gusto di non presentarci le generalità dell’assassino, ma il matrimonio di Petra è un colpo di scena non da poco, che ci sarebbe piaciuto scoprire in solitaria. Dopo due esperienze matrimoniali archiviate e dopo averci fatto credere di essere una single difficile da far capitolare, non una zitella ma una vera amazzone, Petra convola per la terza volta a nozze.
Torniamo allo stand, è ora delle domande serie.
A partire da “Una stanza tutta per gli altri”, suo romanzo d’esordio pubblicato da noi solo 4 anni fa, per poi arrivare alla saga della Commissaria Delicado, in tutti i suoi libri traspare un lavoro quasi certosino di documentazione. Quanto è importante per lei come scrittrice il lavoro preparatorio d’indagine e di documentazione, prima della scrittura vera e propria?
“Ogni mio romanzo ha richiesto un lavoro di documentazione molto ampio. Non solo contatto degli specialisti a seconda dei temi trattati, ma mi dedico a visitare luoghi e a consultare statistiche. Per quanto riguarda la preparazione dei romanzi, con protagonista Petra, in genere lavoro a stretto contatto con la Polizia di Barcellona, città in cui risiedo. E non solo. Per ‘Un giorno da cani’, ad esempio, ho intervistato specialisti del comportamento animale e veterinari. Per ‘Un bastimento carico di riso’ ho lavorato in fase di documentazione con i servizi sociali e con assistenti sociali, che mi hanno permesso di conoscere meglio e di poter descrivere con realismo l’ambiente dei barboni. Ogni libro si prende uno o due mesi di preparazione e di raccolta d’informazioni”.

Negli ultimi anni in Europa si è registrato un revival del genere giallo e del noir. Tuttavia grazie a lei e ad altri suoi colleghi, anche italiani, che avete riscritto e rinnovato le regole del genere, il giallo made in Usa, che ha avuto sempre un grande seguito, è stato relegato in secondo piano, è stato quasi spodestato nelle preferenze dei lettori. Come se lo spiega?
“Premetto che questa che le sto per dire è una teoria del tutto personale. Secondo me, la cosiddetta letteratura seria, di genere, oggi si è sempre di più allontanata da quotidiano. Ci fornisce insomma una realtà edulcorata e spesso pittoresca. Ed oggi il pittoresco non gode di buona considerazione né presso la critica, né presso il lettore. A mio parere, oggi la letteratura deve avere un’aderenza ai fatti o se non altro all’epoca in cui si vive. Il genere gallo all’europea dei giorni nostri è quello che più offre quest’aderenza, quello che ci parla della realtà in cui viviamo e che ci fornisce anche delle chiavi di lettura. In un’epoca come la nostra, è importante per il lettore riconoscersi in ciò che succede quotidianamente attorno a noi”.

Un altro tratto che ritroviamo nei gialli europei e che nel vecchio continente è molto apprezzato è l’ironia.
“Sì credo anch’io. In particolare credo che l’umorismo e l’ironia dei popoli del sud Europa siano molto più sottili e spiccati. Si tratta di una comicità molto poco ovvia!”.

Ci racconti com’è nata la saga di Petra Delicado.
“Il mio primo romanzo ‘Una camera tutta per gli altri’ mi aveva richiesto un gran impegno e di tutt’altro genere”. La scrittrice aveva imbastito il diario di Nelly la cameriera di Virginia Wolf, in cui ci restituisce, a metà tra storia vera e invenzione, una sorta di docudrama sul gruppo di Bloomsbury. “Fu così che alla fine di quel romanzo avevo bisogno una piccola pausa e scrissi il primo romanzo con protagonista Petra. Fu un successo inaspettato. Neanch'io allora potevo immaginare che la commisaria sarebbe diventata la protagonista di una serie di volumi. Fu il mio editore spagnolo a incoraggiarmi a scrivere una seconda puntata. E da lì questo personaggio ha preso vita propria e ancora adesso m’induce a scrivere delle storie”.

Tant’è che la ha obbligata a diventare una scrittrice a tempo pieno …
“Sì dopo 13 anni d’insegnamento, nel 1991 ho lasciato il mondo della scuola. Ero una professoressa piuttosto irregolare, se fosse passato un ispettore dalla mia classe mi avrebbe sicuramente sbattuto in mezzo alla strada. A dire la verità, rimpiango spesso il tempo in cui insegnavo, perché ero a contatto con i ragazzi e anche se qualche volta arrivavo a scuola di cattivo umore, tornavo sempre a casa stanca, ma rigenerata e piena di energia positiva. Ma poi sono diventata una scrittrice a tempo pieno. E’ stata quasi una necessità, anche perché i tour promozionali dei miei libri mal si conciliavano con la mia professione d’insegnante”.

E come si svolge la sua giornata di scrittrice a tempo pieno?
“A dire la verità conduco una vita molto normale. Scrivo ogni mattina. Quando sto scrivendo un romanzo, dopo colazione, mi metto subito al lavoro. Poi a metà mattina mi concedo una pausa. Mi dedico a piccole commissioni, vado a fare la spesa. Mi piace andare a comprare il giornale sempre nello stesso posto per fare due chiacchiere con l’edicolante e alla fine mi concedo un caffé sempre nello stesso bar. Mi piace il contatto con la gente. Per me è fondamentale. Per chi inventa storie è quasi una questione d’igiene mentale non perdere i contatti con la realtà che ci circonda. Del resto, mio marito ha degli orari di lavoro molto rigidi e io mi devo anche occupare della casa. I miei figli ormai sono grandi e vivono per i fatti loro. Perciò pranzo da sola e al pomeriggio spesso mi reco in palestra. Per quanto mi riguarda, la vita di una scrittrice è molto più semplice di quanto si possa immaginare”.


L’ispettrice Petra Delicado è stata protagonista di un serial tv in Spagna, senza contare che tutti i suoi romanzi sono stati opzionati da diversi produttori cinematografici. Insomma, il mondo del cinema sembra apprezzare molto le sue opere. Non ha mai pensato di fare la sceneggiatrice?
“In effetti sì, ho provato una volta e credo che non lo farò mai più in vita mia. Io intendo la scrittura, come un lavoro solitario, mentre le sceneggiature nascono da un lavoro di equipe. Inoltre lo sceneggiatore deve subire continue interferenze da parte della produzione o del regista. Non fa per me. Trovo davvero difficile dover discutere e condividere con altri il frutto del mio lavoro o dover cambiar le mie storie a comando”.

E per quale film si dilettò nel mestiere di sceneggiatrice?
“Fu per ‘Tiempo de tormenta’, uscito poi nel 2003 in Spagna. Ma le dico già che abbandonai a metà il lavoro e che la sceneggiatura fu conclusa da altri per insanabili diverbi con la produzione. Stavo scrivendo di una donna tormentata, ma il produttore insisteva che una donna non può essere tormentata senza un motivo pratico. Ma le pare? E allora insisteva che dovevo inserire nella mia storia un fatto che gustificasse i suoi tormenti. In pratica la protagonista doveva essere tormentata a causa della perdita del figlio. A quel punto non resistetti e gli chiesi: Ah sì? E come lo vorrebbe questo figlio? Flambè, a pois, al sangue o poco cotto? Insomma in breve abbandonai il lavoro”.
Tornata a casa non ho potuto fare a meno di indagare a quale casa di produzione la signora Gimenez Bartlett avesse dato il ben servito. Dopo attente ricerche, viene fuori che si tratta della Lolafilm, che negli ultimi trent’anni ha lavorato con registi del calibro di Fernando Trueba, Pedro Almodovar, Carlos Saura, Vicente Aranda e de la Iglesia.
Petra avrebbe fatto lo stesso.

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23 aprile 2007
"Salvador" per non dimenticare mai

di Marzia Apice

E’ difficile immaginare un clima di terrore e barbarie in un paese occidentale e quindi “civile” come la Spagna, oggi portavoce d’importanti campagne a favore dei diritti delle minoranze ed emblema di libertà e emancipazione.
Eppure, non molti anni fa, precisamente il 2 marzo del 1974, in questo stesso paese venne giustiziato un ragazzo di 25 anni, che, dopo una condanna a morte per motivi politici, fu ucciso mediante la garrota, una delle più atroci e disumane torture utilizzata già ai tempi dell’Inquisizione.
Quegli anni in Spagna rappresentarono gli ultimi sprazzi del regime franchista, tristemente noto per aver messo in ginocchio e umiliato un intero popolo, facendolo vivere nella paura e nella totale assenza di diritti civili e libertà. Il 2 marzo del 1974 fu la data dell’ultima condanna capitale in Spagna e quel ragazzo, Salvador Puig Antich, militante del Movimiento Ibèrico de Liberaciòn, da quel giorno fu consegnato alla storia e alla memoria del popolo spagnolo.
“Salvador-26 anni contro” è un film duro, appassionato, triste ma pieno di speranza. La pellicola racconta la storia dell’omonimo e sfortunato protagonista, che, arruolatosi quasi per gioco nel MIL, all’inizio sembra dividersi tra le ragazze da corteggiare e le azioni provocatoriamente dimostrative. Poi, forse senza troppa consapevolezza, passa assieme ai suoi compagni alla guerriglia attiva accanto ai militanti francesi. Cominciano allora le rapine, e arrivano anche le armi e il pericolo a stravolgere quello che sembrava essere un gioco da ragazzi. Inesorabilmente, tutto cambia: aumenta la coscienza politica e con essa la violenza. Scorre il sangue per strada: è il sangue dei ragazzi, ma mescolato a quello dei poliziotti.
Una guerra tra poveri disperati che non cambia nulla. L’agguato della polizia pone fine alla battaglia di Salvador, che da collettiva, diventa, da questo momento in avanti, una lotta personale.
Ma non finisce qui: l’ETA il 20 dicembre del ’73 uccide l’Ammiraglio Carrero Blanco e Salvador diviene un vero e proprio capro espiatorio. Ora il giovane è costretto a lottare non solo contro le istituzioni, ma anche contro una tragica fatalità. E contro un destino che lo vuole morto, ingiustamente, follemente, Salvador perderà.
Questo film, per la regia di Manuel Huerga, non è soltanto il racconto dei fatti che hanno portato alla condanna a morte di Salvador, ma anche la storia di tutto quello che la sua famiglia, il suo avvocato, i suoi amici hanno fatto per tentare di salvarlo dalla condanna.
“Salvador-26 anni contro” è sì la cronaca di un disperato tentativo per evitare l’atroce esecuzione di un giovane di 25 anni, ma è anche il racconto di un universo di sentimenti, speranze, passioni, sofferenze fisiche e mali dell’animo. Ed è l’affresco di un’epoca buia che ha segnato la vita di tante famiglie in modo irrimediabile.
Al termine della pellicola un’inquadratura struggente: dopo il funerale di Salvador, tanti petali di rose rosse solcano il terreno bagnato dalla pioggia. Sono lacrime che lavano una terra bagnata da troppo sangue.
Per non dimenticare. Mai.

dal 27 aprile nei cinema

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