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17 dicembre 2006
Non solo cinema - Tra noia e autentico piacere, ecco la vita di un lettore

di Sabina Prestipino

Nell’ipotesi di organizzare “un campionato di fantaboxe culturale, schierando sul ring i libri contro il meglio che qualunque altra forma d’arte abbia da offrire, sulla distanza di quindici riprese…be’, i libri vincerebbero praticamente sempre”. Parola di Nick Hornby.

L'autore di "Altà fedeltà" si affretta ad ammettere che il suo non è un gudizio senza appello.

Qualche eccezione? il disco più bello del vecchio Bob Dylan batterebbe il Dickens minore, così come Orson Welles metterebbe al tappeto un Nabokov minore.


Ma in genere il libro fa la sua partita.


***
Un arguto diario di un lettore, una tranche de vie di chi i libri non solo li scrive e ne vende a palate, ma anche li legge e li compra, anche solo per il gusto di possederli e riporli nello scaffale più alto della libreria.
E’ quanto ci propone “Una vita da lettore” di Nick Hornby, edito da Guanda. L’autore di “Febbre a 90”, “Alta fedeltà” e “Non buttiamoci giù”, nell’estate del 2003, inizia a tenere una rubrica letteraria sul mensile americano “The Believer”, uno dei magazine letterari più trendy degli Stati Uniti, fondato dalla moglie di Dave Eggers, editore e fondatore a sua volta di McSweeney’s. Da quest’esperienza nasce “Una vita da lettore”, una raccolta di scritti, di “non recensioni” precisa l’autore, sul piacere e talvolta sulla noia di leggere.
Ogni mese la rubrica ha per cappello due liste: da una parte i libri acquistati, dall’altra il ben più esiguo numero (se pur rispettabilissimo per la media inglese e italiana) di libri letti. Dopodichè iniziano i pezzi, accattivanti, pieni di umorismo e densi di spunti in cui il lettore non solo riconoscerà il suo beniamino Hornby, ma persino se stesso. Sia come scrittore che come lettore, Hornby, infatti, ha un approccio molto personale, pragmatico, privo di fronzoli e soprattutto sincero.
Spesso a distoglierci dai libri, ci dice Hornby, facendoci capire che non c’è cosa più normale, ci sono i nostri figli che reclamano attenzioni, c’è la nostra squadra di calcio preferita o la tv satellitare. Per cui è chiaro che se i critici parlano sempre dei libri e della letteratura come fossero cose altisonanti, inaccessibili, destinate a poche menti elette, gli editori sono destinati a chiudere bottega. Per forza che poi la gente non sente la letteratura come una forma di intrattenimento.
E se è vero che ci sono periodi della nostra vita più o meno adatti alla lettura – per esempio quando una nuova stagione calcistica è alle porte è fisiologico un calo del desiderio del lettore – è anche vero che i libri sono un po’ la colonna sonora della nostra vita. E anzi nell’ipotesi di organizzare “un campionato di fantaboxe culturale, schierando sul ring i libri contro il meglio che qualunque altra forma d’arte abbia da offrire, sulla distanza di quindici riprese…be’, i libri vincerebbero praticamente sempre”. Certo, ammette Hornby, va fatta qualche eccezione: il disco più bello del vecchio Bob Dylan batterebbe il Dickens minore, così come Orson Welles metterebbe al tappeto un Nabokov minore. Ma in genere il libro fa la sua partita.
E così accanto ai suoi personali giudizi, mai stroncature (al Believer è un genere assolutamente bandito) Hornby inanella aneddoti della sua vita, come la nascita del suo terzo figlio o le riflessioni sul suo primogenito autistico o ricordi dell’infanzia, piuttosto che le sue amicizie con colleghi scrittori. Per non parlare delle piccole manie che ci confessa l’Hornby scrittore. Ad esempio, quando l’autore si reca in vacanza non può fare a meno di sbirciare cosa leggono tutte le persone a bordo piscina. E ovviamente la curiosità che lo attanaglia è sapere se qualcuno sta leggendo un suo libro e in tal caso non gli scolla gli occhi di dosso, per scrutarne ogni minima espressione.
Alla fine, di pezzo in pezzo prende forma lo scrittore, ma anche il lettore, la cui vita è spesso popolata – diciamolo – dalla noia e dalla disperazione. Un lettore onnivoro, che ha volte ha voglia di buttarsi su un hamburger da fast food altre volte è in cerca di pietanze più raffinate.
Ai critici (quelli del Guardian in testa) Hornby non risparmia una buona dose di sarcasmo. Lettori e scrittori, categorie che hanno più cose in comune di quanto si possa immaginare, alla fine potrebbero tranquillamente fare a meno dei critici. “A volte – scrive l’autore verso la fine del libro – abbiamo l’impressione che ci venga richiesto di immaginare i giudizi culturali come un insieme di cerchi concentrici. All’esterno abbiamo quelli sbagliati, espressi da individui che leggono il Codice da Vinci e ascoltano Celine Dion; al centro quelli giusti, formulati dai critici più sofisticati, i quali molto spesso hanno fatto voto di non ridere mai, fino a quando Arsitofane non avrà prodotto il seguito de ‘Le Rane’”. I critici non sono in cima alle sue simpatie, e per di più Hornby rivendica il sacrosanto diritto di ogni lettore di scegliersi il libro che più gli aggrada e di abbandonare invece i volumi che lo tediano.
Saggi, biografie, romanzi, racconti e poesie, classici e novità, Hornby passa in rassegna diversi generi. E’ difficile tuttavia rintracciare in questi excursus libri che non siano anglofoni. Ogni tanto fa capolino qualche libro che non è inglese o americano. Ma di italiani neanche l’ombra.

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1 Commenti:
Anonymous Anonimo dice...

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