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22 aprile 2007
"Le vite degli altri", snobbato dai festival arriva agli Oscar La raggelante “normalità” di un sistema dittatoriale è resa alla perfezione nel severo e calibrato film d’esordio di Florian Henckel von Donnersmarck, “Le vite degli altri”, che ha il coraggio di affrontare un doloroso capitolo della recente storia tedesca. La sceneggiatura, meticolosamente scritta dallo stesso regista, descrive infatti con pochi tocchi di impressionate precisione la grigia esistenza nella Germania Est, la Ddr, all’epoca del blocco sovietico. Il grigio era il colore dominante degli edifici di Berlino Est e delle sue strade attraversate dalle “Trabant” (le utilitarie “comuniste”) o da qualche auto di grossa cilindrata dei burocrati del partito. Grigi, in prevalenza, anche gli abiti degli esponenti della nomenklatura dello Stato satellite più fedele all’Unione Sovietica, fino a pochi istanti prima della caduta del Muro, nel novembre del 1989. La vicenda narrata nel film si svolge nell’84, ma non si scorge alcun segnale che possa far presagire che appena cinque anni dopo si sarebbe potuta avviare la riunificazione della Germania. Merito, si fa per dire, della capillare e asfissiante azione della “Stasi”, la polizia segreta della Ddr che poteva contare su centomila effettivi e in più su centinaia di migliaia di informatori. Era la sconvolgente realizzazione del “Grande fratello” di Orwell, con una sbalorditiva media nel rapporto tra “controllati” e “controllori”. Nessuna violenza sanguinaria, come ai tempi del nazismo, bensì una insinuante ma pressoché invincibile pressione psicologica, efficacemente rappresentata all’inizio del film con la maniacale “lezione” sulle implacabili tecniche di interrogatorio degli agenti della Stasi. Il più “bravo” poliziotto, il capitano Wiesler, viene incaricato dal suo superiore di spiare il drammaturgo di maggior successo del momento, Dreymand, e la sua compagna, Christa-Maria, applaudita attrice. In ogni dittatura, gli intellettuali vengono guardati con sospetto, anche quando sembrano fedelissimi al regime. Wiesler è quindi sottilmente compiaciuto di poter riempire di microspie la casa di Dreymand. L’agente della Stasi non si rende però conto di essere usato per motivi ben diversi dalla difesa dell’ortodossia comunista. Un influente ministro, infatti, vuole sbarazzarsi del drammaturgo per avere via libera con Christa-Maria. Potrebbe sembrare che si crei una “simpatia” tra controllore e controllato, come nel bellissimo film di Francis Ford Coppola “La conversazione”. Qui invece il meccanismo è ulteriormente raffinato. L’impassibile Wiesler scopre di essere capace di commuoversi per una poesia di Brecht o una sonata di Beethoven: per lui è la cultura il bene supremo, al di là dell’ideologia. Ma non può rivelarlo. Su queste intriganti basi, Florian Henckel von Donnersmarck costruisce un film asciuttissimo e coinvolgente, inspiegabilmente snobbato dai Festival maggiori e poi trionfatore agli Oscar europei (con tre premi: film, attore e sceneggiatura) e all’Oscar hollywoodiano come miglior film straniero. Il regista, 34 anni, degli intensi studi internazionali anche con Sir Richard Attenborough, è giunto al suo primo lungometraggio dopo una preparazione di molti anni, che gli consente di mostrare una maturità encomiabile per la sicurezza con cui sa dosare le accurate informazioni storiche con i meccanismi della suspense. In un film dai caratteri fortemente teatrali, si apprezza molto la prova degli ottimi attori: Martina Gedeck è la dolente Christa-Maria, Sebastian Koch è lo sconcertato drammaturgo, Ulrich Tukur è il viscido colonnello. Su tutti, lo “spione” Ulrich Mühe, emblema dell’obbedienza ma non fino all’ottusità. Etichette: Prima visione Inserito da ottoemezzo a-live alle 22:492 Commenti: |
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Bellissimo Film. Un crescendo di emozioni, ricco di particolari realistici e seccamente veritieri. Unisce l'amore per l'arte alla consapevolezza storica,tutto scritto su note emozionali. Sconvolgente la fotografia dalle tinte grigie,che ripercorre lo stato d'animo delle vittime e dei carnefici della stasi. Finale inaspettato, ma neanche troppo. Ne consiglio la visione.
Cristina Mercurio
Palermo
finito di vederlo venti minuti fa.Che ho fatto in questi 20 minuti? una barretta di nicotina mi aiuta a riprendermi dal potentissimo finale,poi mi catapulto su google alla ricerca viscerale di informazioni su questo capolavoro di film.
Trovo straordinario come il regista segua passo dopo passo,piano piano, l'evoluzione spirituale e culturale del bravissimo ulrich-sbirro.Questa è una bravura fondamentale,che oggigiorno è sempre più rara:raccontare-mostrare il processo di evoluzione di un personaggio,passo dopo passo,fluidamente,progressivamente,senza salti-scalini.
Mi ammazzo di canne,mi dimentico tutto e me lo riguardo.