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30 luglio 2006
A Pordenone va in scena Videotronica


Pordenone è un puntino come altri nel ricco e industrioso, e al contempo culturalmente sonnacchioso, Nordest; ci si avvicina a poco a poco, il che è un modo carino per dire che questa città è lontanissima da qualsiasi rotta, e finalmente ci si gode il bel centro storico con gli acciottolati e i portici a cui i pigri norditaliani dopotutto sono abituati.

Poi però si fanno due parole col consigliere comunale Ado Scaini e si viene a conoscere il passato vivace e giovane della città: la vicina base militare americana ad Aviano ha sempre portato frotte di giovani a Pordenone, grandi industrie come la Zanussi l’hanno resa popolosa, il costume si è adeguato e la musica anche. Oggi pare strano a dirsi, ma i primi dischi punk apparsi in Italia venivano incisi proprio qui; Ado stesso nei tardi ’70 ha militato nei Tampax, gruppo punk il cui successo non è stato pari a quello dell’utile accessorio eponimo.

Oggi invece Ado, con la preziosa collaborazione dello staff di Cinemazero (l’associazione culturale che si occupa della Mediateca di Pordenone) tenta di scuotere la città organizzando eventi come Videotronica 2006, il primo festival di vj-sets.
Un attimo, che cosa è un vj-set? E’ come un dj-set, cioè una performance di mixaggio dal vivo di musica, però fatto con le immagini, siano esse materiale di repertorio o un girato originale; il vj le prende dal suo database, le manipola, le mixa e le proietta su un megaschermo per il piacere degli astanti. In questo caso particolare, tutti gli artisti che partecipano al festival lavorano in coppia: un vero e proprio dj alle musiche e un vj alle immagini. Entrambe vengono mixate al momento, improvvisando o seguendo un canovaccio, in contrasto l’una con le altre o in consonanza; il tutto secondo l’estro dei due artisti.
Il vj-ing è insomma un ramo cadetto della blasonata schiatta della video-art, ma meriterebbe uguale attenzione per la fantasia e l’innovazione che esprime; per i pochi che hanno scelto di seguire Videotronica fino alla fine, anziché bere spritz e guardare le vetrine sul viale, la soddisfazione è stata grande da entrambi i punti di vista, cinematografico e musicale.
La prima location in cui si svolge il festival è lo spiazzo davanti al lussuoso Bar Posta, a due passi dalla high street della città che ovviamente catalizza l’attenzione. Sono in scena i londinesi Photon Shepherds: il vj Greg McKneally e il musicista anglo-giapponese Taiyo Nagano, che presentano lo spettacolo Light Cube.
Tre megaschermi sono stati montati in senso convesso affinché le immagini proiettate siano visibili da più prospettive; gli altoparlanti diffondono la musica elettronica composta e mixata da Nagano. A dire il vero, il forte dei Photon Shepherds non è il lato musicale quanto quello visivo, più immediatamente estetico: un nastro di globi colorati e luminosi attraversa un verde paesaggio del Galles, corre a Londra lungo l’East End e penetra nell’organismo dei passanti; comete, tracce di aereo, neve fioccante si fondono delicate sul paesaggio londinese, modificato da effetti grafici coloratissimi; una sequenza in split screen sembra voler moltiplicare l’ebbrezza della visione. Nessun altro artista, stasera, creerà visioni tanto suggestive, eppure le musiche mixate non sono all’altezza: forniscono un sottofondo gradevole e ben calibrato, ogni tanto facile da ballare, ma nulla di straordinario.
Ciò balza all’occhio nell’emblematica sequenza finale: sugli schermi, il nero fa da sfondo ad una sequenza di piccoli fiori e virgulti che nascono e sbocciano in sequenza; la colonna sonora è un brano dei Sigur Ròs, lasciato nature. Inutile dire che la sequenza è molto suggestiva, ma gran parte del merito va ai Sigur Ròs passati indenni dal trattamento di mixing.

Finita la prima parte, ci si sposta al cosiddetto Bronx, un parcheggio coperto e lasciato sporco di proposito, per accentuare il contrasto con l’impeccabile Bar Posta. Il set è bellissimo e “industriale” al punto giusto, ma la location non è molto indicata: il parcheggio si trova esattamente al di sotto di un bar-chiosco che attira gli assetati di birra e di chiacchiera; ancora una volta, il pubblico che dovrebbe seguire l’arte di Videotronica viene distratto da piaceri vani e transeunti! O tempora, o mores! Ma soprassediamo: è il turno dello spettacolo Tapeless/Fearless del duo italo-londinese Cluster One. Questa volta le immagini sono proiettate su un solo grande schermo centrale e tutto intorno sulle pareti di cemento; se ne occupa il regista Marco Ruffatti, mentre Alberto Roveroni sta alla musica.
Lo stile dei Cluster One è del tutto diverso da quello dei Photon Shepherds, il che accresce la curiosità e l’attenzione; le immagini mixate in diretta non sono creazioni originali, infatti, bensì spezzoni di film di culto decontestualizzati e rimontati. Ruffatti ha scelto di alternare scene iconiche come il bagno di Anita Ekberg nella fontana di Trevi o il ghigno di Jack Nicholson in Shining a materiali televisivi come una videointervista a Michael Jackson e uno spot anni ’60: un pastiche postmoderno, perciò gioioso e coinvolgente, che mescola la memoria cinematografica collettiva al quotidiano e al grottesco. La sequenza si accompagna perfettamente ai temi, originali e non, manipolati dal musicista Roveroni: la colonna sonora di Tapeless/Fearless è molto varia sia come stile sia come timbro, armonizza in modo inedito Twisted Nerve (il tema fischiettato di Kill Bill), aggiunge ritmi elettronici a vecchie colonne sonore italiane per poi sciogliersi in momenti dance-trance in cui finalmente si balla davvero.

L’ultimo spettacolo in programma, o “performance mixmediale” come amano definirla i due artisti, è anche il più difficile e coraggioso: si tratta di Dandelion Key del milanese Claudio Sinatti, già regista di videoclip, coadiuvato dal musicista leccese Pierpaolo Leo. I due prendono il posto dei Cluster One davanti al megaschermo e ancora una volta lo stile cambia di netto: Sinatti lavora infatti su una sola immagine, una foto in bianco e nero di alcuni denti di leone (sono fiori; i dandelion, appunto) che viene scomposta, atomizzata, fatta esplodere e implodere davanti ad uno sfondo rosso fuoco.
Intanto Leo crea paesaggi sonori inquietanti e astratti, fatti di lunghi lamenti elettronici in cui è dolce naufragare; il mare di pixel bianchi e neri sparsi sulle pareti del Bronx aumenta il senso di spaesamento e fa incollare lo sguardo dello spettatore sui fiori polverizzati da Sinatti.

Quando tutto si spegne, si esce da un’esperienza non immediatamente entertaining, ma catartica ed emozionante: la giusta chiusura di una serata sovraccarica, in senso positivo, di stimoli sensoriali e intellettuali - diciamolo pure: di arte.

di Vera Brozzoni

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25 luglio 2006
Venezia: si parte nel segno del noir


In attesa del 27 luglio, giorno in cui verrà presentato, ufficialmente a Roma, il programma della 63ma Mostra del Cinema di Venezia, il direttore artistico Marco Müller ha elargito qualche "antipasto" per i giornalisti. E' così il 24 luglio si apprende dal sito della Biennale il titolo del film di apertura della rassegna, che avrà luogo al Lido dal 30 agosto al 9 settembre 2006.
Sarà "The Black Dahlia" di Brian De Palma, con Scarlett Johansson, Hillary Swank e Josh Hartnett, il film che inaugurerà il concorso veneziano la sera del 30 agosto. Prodotto da Art Linson, Rudy Cohen, Moshe Diamant e Avi Lerner, la pellicola uscirà sui nostri schermi a fine ottobre, distribuita da 01 Distribution.

"Siamo onorati che Brian De Palma abbia scelto di inaugurare la 63ma Mostra con il suo nuovo e attesissimo noir, confermando così il forte legame con Venezia", hanno dichiarato Davide Croff e Marco Müller. De Palma infatti è quasi un habitué del Lido, da trent'anni a questa parte. Fu invitato a Venezia nel 1975 con uno dei suoi primi film, "Le due sorelle" (Sisters) per poi farvi ritorno con "Blow Out", "Doppia personalità" (Raising Cain), e uno dei suoi capolavori, "Gli intoccabili" (The Untouchables), di cui peraltro è stato annunciato il prequel.

L'inizio veneziano sulla carta si presenta sotto i migliori auspici, con un nome che mette d'accordo intrattenimento popolare e cinema d'autore. I cinefili internazionali infatti adorano De Palma e a quarant'anni dal suo esordio, potranno vedere il loro beniamino che si misura con l'adattamento di James Ellroy, scrittore a pieno titolo annoverato tra i classici del poliziesco americano e molto amato dal cinema ("L.A. Confidential"). Ma anche i fanatici delle passerelle verranno accontentati. La serata inaugurale sarà monopolizzata da due delle giovani dive di punta di Hollywwod, la coppia Swank- Johannson, che ritorna al Lido da star. "La Mostra, grazie a questo film, potrà salutare nuovamente due star indiscusse del firmamento internazionale, entrambe rivelatesi a Venezia, Scarlett Johansson nel 2003 con 'Lost in Translation', e poi giurata nel 2004, e Hilary Swank, a Venezia nel 1999 con il film che le valse il primo Oscar, 'Boy's Don't Cry'" hanno rilevato giustamente Croff e Müller.

Tratto dall'omonimo romanzo, primo della quadrilogia su Los Angeles"The Black Dahlia" è ambientato nel 1947. Al centro della vicenda ci sono due poliziotti,amici ex pugili, Bucky Bleichert (Josh Hartnett) e Lee Blanchard (Aaron Eckhart), innamorati della stessa donna, la misteriosa Kay Lake (Scarlett Johansson), ex amica di un gangster. Sarà il truclento delitto di Elizabeth Short (Mia Kirshner), ragazza con ambizioni d'attrice soprannominata la Dalia Nera, su cui i due devono indagare, a sconvolgere per sempre la loro vita.

E dire che dopo la nascita del festival di Roma, c'erà già chi dava per spacciato il Lido.

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24 luglio 2006
Buon Compleanno Museo!


Martedì 25 luglio 2006 dalle ore 19.00 alle 23.00 il Museo Nazionale del Cinema di Torino festeggia il suo sesto compleanno, con l’apertura straordinaria gratuita fino alle 23.00. In realtà si festeggiano i sei anni del nuovo allestimento museale.
Unico in Italia e tra i più importanti del Mondo, il Museo Nazionale del Cinema di anni sulle spalle ne ha ben di più.

Tutto cominciò negli anni '40. Su un’agendina alla data 8 giugno 1941 si poteva leggere "pensato il museo". L'annotazione era di "Madama Pelicula", così Maria Adriana Prolo, fondatrice del Museo, era soprannominata affettuosamente dai rigattieri del mercatino torinese del Balon, dove spesso si recava alla ricerca di reperti e cimegli.

Inizia così ai tempi della seconda guerra mondiale l'avventura culturale del Museo, dalla passione di una cinefila, nata nel 1908 a Torino. Fin da piccola la Prolo deve aver respirato all'ombra della Mole aria di cinema. All'inizio del secolo il capoluogo piemontese era considerato uno dei centri nevralgici del cinema italiano e mondiale, potendo vantare più di cento case di produzione, che sfornavano pellicole distribuite in giro per il mondo.
Una per tutte? "Cabiria" di Giovanni Pastrone, che quest’anno dopo un complicato restauro ha concluso il festival di Cannes.

Già dal 1942 la città di Torino aveva messo a disposizione del museo in fieri alcuni locali della Mole Antoneliana. Aprire al pubblico non fu facile, nonostante la studiosa continuasse a far crescere la sua collezione.
Alla fine del 1945, infatti, la Prolo annotava sul suo diario: "Il freddo aumenta/il caldo manca/sulla Mole sventola/bandiera bianca", firmandosi sconsolata "la congelata della Mole". A peggiorare le cose il temporale del maggio 1953, un fulmine si abbatte sulla guglia, danneggiando il monumento e, di fatto, annullando le speranze della Prolo di ottenere spazi più ampi per ospitare i suoi tesori. Il 7 luglio dello stesso anno nasce l'Associazione culturale Museo del Cinema.
Nell'autunno del 1958, arriva anche la sede permanente, nello storico Palazzo Chiablese, ad un passo dal Palazzo Reale, e una saletta di proiezione, antenata della multisala Massimo.
Ma nel 1983 per motivi di sicurezza, in seguito al rogo del cinema Statuto, il museo fu chiuso al pubblico.
Rivedrà la luce proprio il 20 luglio del 2000. Di nuovo alla Mole da dove era partito una sessantina di anni prima.
Il resto è storia di questi giorni.

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18 luglio 2006
Se Locarno si mette a dieta


Una drastica cura dimagrante per il festival di Locarno. E' quanto propone il nuovo direttore Frédéric Maire per la 59ma edizione della rassegna svizzera (2-12 agosto 2006). Sul Lago Maggiore infatti sfileranno 170 opere invece delle 250 della scorsa edizione.
"Una selezione dolorosa, ma necessaria" è stato il lapidario commento di Maire, che preferisce "fare apprezzare di più i lavori mettendoli in contatto maggiore con il pubblico ed evitando dispersioni". Della serie (più) pochi ma buoni.


Altra novità di quest'anno è la nutrita presenza di autori italiani. Saranno infatti una dozzina i lavori di casa nostra tra film in concorso, in Piazza Grande, e sezioni collaterali.

In concorso gareggeranno Roberta Torre ("Mare Nero) ed Enrico Pau ("Jimmy della collina"). La regista di "Tano da morire", questa volta mette in scena un giovane ispettore alle prese con gli ambienti più torbidi della vita notturna romana. Nel cast figurano: Luigi Lo Cascio, Anna Mouglalis e Massimo Popolizio.

Il film di Pau invece è un adattamento dell'omonimo romanzo di Massimo Carlotto. Interpretata da Nicola Adamo, Valentina Carnelutti, Giovanni Carroni e Francesco Origo, la pellicola narra di Jimmy diciassettenne che, in assenza di prospettive e di riferimenti nel suo paesello di provincia, finisce in un carcere minorile.

In Piazza Grande verrà proiettata l'ultima fatica di Maurizio Sciarra "Quale amore". Tratta dal celebre romanzo "Sonata a Kreutzer" di Lev Tolstoi, la pellicola è interpretata da Giorgio Pasotti e Vanessa Incontrada.
Mentre in "Cineasti del Presente", passeranno "Schopenhauer" di Giovanni Davide Maderna, su due studenti, un uomo e una donna, che cercano la parola rivelatrice di un filosofo ritiratosi in campagna, e "Sotto la luna di Scampia" di Carlo Luglio.

Sarà lo spettacolare "Miami Vice" di Michael Mann, con Jamie Foxx e Colin Farrell a inaugurare la rassegna, come da tradizione nella splendida cornice della Piazza Grande.
La retrospettiva è dedicata quest'anno al cineasta finlandese Aki Kaurismaki.
E' atteso a Locarno Aleksander Sokurov, che presenterà "Elégie" in anteprima e che ritirerà il Pardo d'Onore.
Mentre Willem Dafoe sarà insignito del "Locarno Excellence Award".
La sezione "Open Doors", che vuole dare spazio al cinema dei paesi in via di sviluppo, sarà dedicata a Malesia, Indonesia, Thailandia e Singapore.

SP

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11 luglio 2006
Calvino: il cinema è stato per me il mondo


Comincia oggi il diario di ottoemezzo.com, settimanale italiano dedicato al cinema.

Iniziamo con una citazione di Italo Calvino, uno dei miei scrittori preferiti. Adoro il suo modo di scrivere semplice e mai scontato, ironico, grottesco e fiabesco allo stesso tempo.

Pochi sanno che Calvino amava molto il cinema.
Leggete cosa scriveva sulla settima arte.


SP

Ci sono stati anni in cui andavo al cinema quasi tutti i giorni e magari due volte al giorno, ed erano gli anni tra, diciamo, il Trentasei e la guerra, l'epoca insomma della mia adolescenza. Anni in cui il cinema è stato per me il mondo.
Un altro mondo da quello che mi circondava, ma per me solo ciò che vedevo sullo schermo possedeva le proprietà di un mondo, la pienezza, la coerenza, mentre fuori dello schermo s'ammucchiavano elementi eterogenei che sembravano messi insieme per caso, i materiali della mia vita che mi parevano privi di qualsiasi forma.

Il cinema come evasione, si è detto tante volte, con una formula che vuol essere di condanna, e certo a me allora il cinema serviva a quello, a soddisfare un bisogno di spaesamento, di proiezione della mia attenzione in uno spazio diverso, un bisogno che credo corrisponda a una funzione primaria dell'inserimento nel mondo, una tappa indispensabile d'ogni formazione.
Certo per crearsi uno spazio diverso ci sono anche altri modi, più sostanziosi e personali: il cinema era il modo più facile e a portata di mano, ma anche quello che istantaneamente mi portava più lontano. Ogni giorno, facendo il giro della via principale della mia piccola città, non avevo occhi che per i cinema, tre di prima visione che cambiavano programma ogni lunedì e ogni giovedì, e un paio di stambugi che davano film più vecchi o scadenti, con rotazione di tre alla settimana. Già sapevo in precedenza quale film davano in ogni sala, ma il mio occhio cercava i cartelloni piazzati da una parte, dove s'annunciava i film del prossimo programma, perché là era la sorpresa, la promessa, l'aspettativa che m'avrebbe accompagnato nei giorni seguenti.

Andavo al cinema al pomeriggio, scappando di casa di nascosto, o con la scusa d'andare a studiare da qualche compagno, perché nei mesi di scuola i miei genitori mi lasciavano poca libertà. La prova della vera passione era la spinta a ficcarmi dentro un cinema appena apriva, alle due. Assistere alla prima proiezione aveva vari vantaggi: la sala semivuota, come fosse tutta per me, che mi permetteva di sdraiarmi al centro dei «terzi posti» colle gambe allungate sulla spalliera davanti; la speranza di rincasare senza che si fossero accorti della mia fuga, per poi avere il permesso di uscire di nuovo (e magari vedi un altro film); un leggero stordimento per il resto pomeriggio, dannoso per lo studio, ma favorevole alle fantasticherie.
E oltre a queste ragioni tutte a vario titolo inconfessabili, una ce n'era di più seria: entrare all'ora dell'apertura mi garantiva la rara fortuna di vedere il film dal principio, e non da un momento qualsiasi verso la metà o la fine come mi capitava di solito quando raggiungevo il cinema a metà pomeriggio o verso sera.


(Italo Calvino, La strada di San Giovanni, ed. A. Mondadori)

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