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25 marzo 2007
Anticipazioni: se a lanciarsi in un "Liscio" è Laura Morante

di Marzia Apice

Presentato alla prima edizione della Festa Internazionale del Cinema di Roma nella sezione Alice nella città, “Liscio” è il secondo lungometraggio di Claudio Antonini, giovane regista romano con un passato da ex calciatore professionista.
La musica del film appartiene tutta al popolare genere del liscio, emblema di solarità, ma anche di malinconia e semplicità.
l liscio ben si presta a far da sfondo alla storia di Monica (Laura Morante) e Raul (Umberto Morelli), rispettivamente madre e figlio, in perenne sfida fra di loro.
Monica porta avanti la tradizione musicale del padre morto, cantando la sera nelle balere. Ma non è contenta né del lavoro né della propria vita sentimentale, completamente confusionaria e superficiale. Raul, che ha dodici anni ma è già molto maturo, è stanco di vedere la madre in balia di uomini sempre diversi; vorrebbe quindi trovarle il compagno ideale.
Il candidato perfetto potrebbe essere il professor Medri (Antonio Catania) che insegna musica nella sua scuola. Ma l’incontro tra i due non avrà gli effetti sperati.
La colonna sonora accompagna tutte le immagini del film, divenendo spesso la principale protagonista. Laura Morante si trova coinvolta in molte performance canore in stile balera, anche se, a dirla tutta, la sua immagine sofisticata (nonostante l’aiuto di trucco e costumi…) è ancora lontana dal rappresentare la vera cantante di liscio.
Bravi tutti gli attori bambini, impegnati nel complesso tentativo di spiegare ai grandi (che evidentemente l’hanno dimenticato!) quanto sia faticoso diventare adulti.
“Liscio”, nei cinema dal 29 marzo, racconta una storia semplice e delicata: buoni sentimenti e piccoli e grandi dispiaceri all’interno di un difficile rapporto tra una madre ancora immatura e un figlio già troppo cresciuto per la sua età.

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"Saturno contro" più che un grande freddo all'italiana

di Franco Cicero

L’opposizione zodiacale di Saturno, come ben sa chi si occupa di astrologia, è foriera di presagi negativi. Infatti, il salto narrativo nel nuovo film di Ferzan Ozpetek è legato a una morte improvvisa. Come avveniva nel film che, sei anni fa, aprì al regista di origine turca le porte del grande pubblico: “Le fate ignoranti”.
Ma stavolta la repentina scomparsa colpisce un personaggio centrale, al quale tocca introdurre la vicenda con la sua voce fuori campo. Inoltre, a differenza di quasi tutti i film di Ozpetek (da “Hamam – Il bagno turco” e “Harem suaré” a “La finestra di fronte” e “Cuore sacro”), non c’è una sovrastante figura femminile che scopre nuove realtà o antiche verità.
Invece in “Saturno contro” prevalgono nettamente la coralità dell’insieme e il tempo presente. La tragedia imprevedibile getta nel dolore una comunità di carissimi amici. Ma la rielaborazione del lutto per chi è venuto prematuramente a mancare va al di là della riproposizione all’italiana del “Grande freddo”. È, piuttosto, l’esaltazione di un legame di amicizia che si rinsalda collettivamente anche se nei rapporti tra le singole individualità (ad esempio, una moglie scopre che il marito la tradisce) possono avvenire rotture.
Ozpetek, quarantottenne, da trent’anni in Italia, giunto al sesto film in un decennio, muove la sua cinepresa con assoluta padronanza ed evidente piacere tra le dinamiche del gruppo di amici nella Roma di oggi in cui convivono con assoluta naturalezza donne e uomini, etero e gay, single e coniugi, ultraquarantenni e giovani. E la sua firma d’autore si evidenza in precise sequenze, come l’incontro tra la moglie e il marito con l’amante; oppure la partita finale di ping pong che riecheggia il tennis di “Blow up” di Antonioni. Ancora una volta, la cura formale è merito dei fedelissimi Gianfilippo Corticelli alla fotografia e Patrizio Marone al montaggio. Mentre inedito è l’apporto musicale di “Neffa” (Giovanni Pellino).
La sceneggiatura, scritta – come è tradizione - dallo stesso Ozpetek assieme a Gianni Romoli (che è, al solito, anche il produttore del film con Tilde Corsi) risulta di assoluta attualità, forse al di là delle stesse intenzioni originarie: si scorgono facilmente, infatti, riferimenti ai Dico o all’accanimento terapeutico. Segno, però, non di una furbizia commerciale, bensì di una testimonianza di quanto certe problematiche siano presenti nella vita quotidiana.
La cosa veramente bella del film è tuttavia la prova d’insieme degli interpreti.
Ozpetek conferma di essere un sensibile direttore di attori, molto puntuale nel disegnare le rispettive personalità e nell’offrire dei dialoghi assai credibili. In più, stavolta si rivela un abile selezionatore di un cast in cui vengono fatti convivere perfettamente attori di provenienza televisiva, come Ambra Angiolini (la più sorprendente, in un ruolo difficile), Luca Argentero (ormai affidabile e più incisivo che in “A casa nostra”), Michelangelo Tommaso (di sicure potenzialità) e Lunetta Savino che lascia il segno in una parte di “colore”; con l’immancabile Serra Yilmaz (“ruspante” connazionale del regista) e con interpreti di estrazione teatrale, come l’esperto Luigi Diberti e l’emergente Filippo Timi; fino a quelli di celebrata esperienza cinematografica, come Stefano Accorsi e Margherita Buy (rinnovati e convincenti, pur chiamati a interpretare ruoli già sperimentati), Pierfrancesco Favino (in grande evidenza), Ennio Fantastichini (sensibile con intelligenza), la felicemente recuperata Isabella Ferrari e la dolente, efficacissima, Milena Vukotic.
Tutti da accomunare con una lode collettiva.

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23 marzo 2007
Cartoons on the Bay trasloca a Salerno

di Sabina Prestipino

La più importante vetrina dell’animazione televisiva ritorna alla ribalta con un cambio di scena.
A far da cornice alla manifestazione di RaiTrade “Cartoons on the Bay” non sarà più Positano, ma la meno modaiola e glamour Salerno.
Dal 19 al 22 aprile 2007 quindi il capoluogo di provincia campano diverrà la capitale mondiale dell’animazione. Autori, professionisti del settore, buyers, distributori, editori multimediali e giornalisti non solo italiani negli ultimi anni hanno decretato Cartoons on the Bay, come una delle manifestazioni di punta nel campo dell’animazione. Merito di ospiti e giuria di alto profilo e di un programma davvero ben calibrato.
Per l’undicesima edizione della rassegna, la giuria internazionale, chiamata ad assegnare i prestigiosi Pulcinella Awards, realizzati dal maestro dell'animazione italiana Emanuele Luzzati recentemente scomparso, sarà composta da Wolfgang Wegmann - Westdeutscher Rundfunk (WDR), Germania, Jan-Willem Bult - KRO Youth TV, Olanda, Beth Gardiner - Playhouse Disney, Stati Uniti, Céline Limorato - France 5, Francia, e Maurizio Forestieri - regista, Italia.
In quattro giorni sfileranno a Salerno 162 programmi provenienti da 30 Paesi, che vanno dagli Stati Uniti al Canada, fino a Francia, Germania e Italia. Spiccano quest’anno le candidature di Estonia, Croazia, Israele, Polonia, Singapore e di Taiwan.

Tra le opere che hanno già fatto parlare di sé c’è “Starveillance”, film in concorso nella sezione dedicata a tutte le età del Festival, che insinua uno sguardo indiscreto nella segreta, o meglio immaginaria, vita privata delle Star di Hollywood.
C’è poi molta attesa per “Anna and the moods”, programma in concorso nella categoria Tv special, che vanta le voci della cantante Bjork, Damon Albarn dei Blur e Terry Jones dei Monty Python.
Si animano, invece, direttamente dalle vignette di amatissimi fumetti i programmi “Rat-man”, “Rahan, son of the Dark Age” e “Uffa, che Pazienza”, dai fumetti di Andrea Pazienza, mentre rivisita la classica fiaba di Pierino e il lupo il Tv special “Peter and the wolf” con la meravigliosa musica di Prokofiev eseguita dall’Orchestra Philharmonia.
Ritornano noti animatori come Fusalo Yusaki, con il suo Peo alle prese con le opere d’arte in “Peo Gallery”, e Bill Plympton, con il sequel del candidato all’Oscar Guard Dog.
Ma Cartoon on the Bay è anche un’importante vetrina per giovani animatori, come i ragazzi del CSC, che proprio a Salerno debutteranno con “Wives Supermarket”.

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16 marzo 2007
Scambio di culle alla Ficarra e Picone






di Marzia Apice

Il 7 e l’8 sono solo numeri, senza significato né importanza. E se invece fossero molto di più?
Siamo a Palermo: in una tempestosa notte del 1975, a causa di questi due semplici numeri, accade in una clinica qualcosa in grado di sconvolgere le future vite di due neonati che, più di trenta anni dopo, pur essendo apparentemente diversi come il giorno e la notte, scopriranno di avere in comune molto più di quello che in realtà credono.
Straordinario esempio di commedia all’italiana trapiantata nei giorni nostri, “Il 7 e l’8” è il nuovo film firmato da un inedito trio, la coppia Ficarra & Picone e Giambattista Avellino.
I due comici siciliani, oltre che registi anche attori protagonisti della pellicola, danno vita ad un insieme esilarante di gag in perfetto equilibrio con una vicenda dai toni delicati, in cui la risata lascia spazio anche al sentimento e alla riflessione.
Lo spettatore viene accompagnato con grande leggerezza lungo tutto lo scorrere del film in un viaggio prima di tutto umano, in cui, grazie alla storia ben costruita, il ritmo resta costante e i personaggi sono delineati da una caratterizzazione forte che li rende efficaci e veri.
Il tutto sempre rispettando l’ormai famoso stile di Ficarra & Picone, stravagante e affiatatissimo duo che ci ha abituati ad un registro comico divertente perché spontaneo e mai forzato.
Un’ultima osservazione: oltre alla convincente regia, è davvero degno di elogio il cast del film, formato da nomi del calibro di Arnoldo Foà, Remo Girone, Tony Sperandeo e Andrea Tidona.
“Il 7 e l’8” è un buon esempio di quel cinema italiano di talento che sfortunatamente spesso si nasconde, rimanendo per troppo tempo lontano dalle nostre sale.

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15 marzo 2007
Con "L'albero della vita" torna Aronofsky


di Marzia Apice




Destinato sicuramente a dividere pubblico e critica "L'albero della vita – The Fountain", terzo film di Darren Aronofsky, arriva nelle sale a partire dal 16 marzo, dopo una lunghissima gestazione.
Pare infatti che il regista abbia avuto l'idea cardine del film nel lontano 1999 mentre era seduto al tavolo di un ristorante, e che l'abbia romanticamente appuntata sopra un tovagliolo per non dimenticarla.
Hugh Jackman e Rachel Weisz (compagna del regista) si trovano ad affrontare diversi personaggi, anche se in fondo interpretano sempre lo stesso ruolo. Gli attori sono bravi ed espressivi, ma non degnamente supportati da una storia che si rivela pretestuosa e non all'altezza di parlare di temi quali il senso della vita e della morte.
La trama si snoda lungo tre epoche per narrare il disperato tentativo di un uomo di salvare la donna che ama. Dapprima siamo nella Spagna del XVI secolo: il guerriero Thomas, per proteggere la propria regina, cerca la Fontana della Giovinezza che, secondo una leggenda Maya, dovrebbe donare l'immortalità.
Poi si passa al giorno d'oggi, in cui il guerriero diventa Tommy Creo, uno scienziato che si impegna giorno e notte per trovare una cura che possa guarire il cancro che sta uccidendo la moglie. Infine, Tommy si trasforma in Tom, un astronauta del XXVI secolo che, all'interno di una navicella spaziale che sembra una bolla di sapone, viaggia nello spazio alla ricerca della propria verità.
Più si va avanti nella visione del film, più tutto si mescola e assume contorni poco chiari. Il messaggio profondo dell'amore immortale, della serenità nell'affrontare la morte, della possibilità di rinascere a nuova vita perde forza perché inserito in un calderone di immagini fredde e troppo scollegate tra di loro per essere davvero incisive.
Il pubblico amante della tecnologia troverà pane per i propri denti, dal momento che grande è stato il dispiego di effetti speciali utilizzati in tutta la pellicola. Da apprezzare inoltre la scelta di curare molto i costumi e di distinguere passato, presente e futuro attraverso una certa diversità cromatica.
Film a tratti contorto a tratti banale, troppo altisonante e forse non così comunicativo come avrebbe desiderato il regista, "L'albero della vita – The Fountain" non convince fino in fondo e, dopo "Requiem for a dream", (2000) l'aspettativa che circondava Aronofsky purtroppo è stata delusa.

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14 marzo 2007
Borat, una lunga candid camera

di Marzia Apice

Il trash, si sa, piace a molti. Così come attraggono in modo irresistibile l'anticonformismo, l'inciviltà, la spregiudicatezza, il cinismo.
Tutto questo è "Borat", con qualcosa in più.
Il film, diretto da Larry Charles e creato dalla fervida inventiva del comico britannico Sacha Baron Cohen (noto per aver creato il personaggio di Ali G che dà il nome al divertente show in onda in Inghilterra e in America), ha diviso il pubblico e i critici in grandi estimatori o autentici denigratori dell'oramai famosissimo (finto) reporter kazako Borat Sagdiyev.
Partito alla volta degli Stati Uniti per girare un documentario sugli usi e costumi americani e per far conoscere il Kazakistan, Borat modifica i suoi piani in corso d'opera, non appena cioè scopre Pamela Anderson in tv.
Partendo da New York e sempre in compagnia dell'obeso produttore, della valigia di cartone e della gallina kazaka, decide di attraversare a bordo di un improbabile pulmino tutta l'America per arrivare in California, rapire l'amata, portarla in Kazakistan e poi prenderla in sposa, coronando così il suo sogno d'amore.
Può essere uno spunto originale (soprattutto dal punto di vista produttivo) realizzare un finto documentario on the road con (ignari) attori, presi dalla strada come testimoni della grottesca assurdità di Borat e, allo stesso tempo, inconsapevoli esponenti delle contraddizioni dell'american way of life.
Misoginia, antisemitismo, discriminazione, cattiveria trasudano da ogni minuto del film. Ma non graffiano, non fanno male. Magari fanno sorridere le numerose situazioni imbarazzanti, a volte strappano una risata. Alla lunga forse annoiano.
Perché, con ogni probabilità, scostando il velo della commedia dissacrante non c'è molto di più da scoprire, né scottanti tematiche sociali da analizzare sotto la lente del politically uncorrect.
Diciamolo francamente, una candid camera della durata di 82 minuti non può non stancare, soprattutto quando il ritmo, la verve comica, i guizzi di genio tendono a scemare a mano a mano che si procede con la visione della pellicola.
E in questa "stanchezza" del film ha verosimilmente giocato un ruolo importante anche la scelta quasi obbligata del doppiaggio, una necessità determinata dal fatto che in Italia il pubblico è poco avvezzo alla lettura dei sottotitoli. Senza nulla togliere alla professionalità di Tonino Accolla, direttore del doppiaggio, e allo straordinario talento di Pino Insegno, voce italiana di Borat, forse mai come in questo caso, si sarebbe dovuta rispettare la lingua originale.
Borat è un film da vedere, ma senza dimenticare l'enorme battage pubblicitario che lo supporta. L'idea del film è buona e ha una certa originalità, ma la decisione della casa di produzione di non realizzarne un seguito non credo ci farà disperare più di tanto.
Come a dire: il troppo stroppia.

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